Per andare in chiesa si passa obbligatoriamente davanti alla croce, posta ai piedi dell’argine, che con a lato i due magnifici cipressi è ormai diventata parte del paesaggio.
Ma forse pochi si chiedono come e perché quella croce sia stata posta in quel luogo.
Raccogliamo dal prof. Antonio Volpe una testimonianza sulla Santa Pasqua che risponde anche alla nostra domanda.
LA PASQUA E LA SANTA CROCE
La Pasqua è la festa più grande della nostra fede perché si compie la vita umana di Dio fatto uomo, attraverso la resurrezione. Una verità di fede che dà luce a tutta la nostra vita, che ci permette di riprendere il cammino superando le tante difficoltà presenti nell’attuale società, che ci ricorda come Gesù ha voluto condividere la vita umana perché ci ama. Un’attesa dell’evento che ha impegnato per tutta la settimana i credenti della Comunità di S. Martino, nella celebrazione dei riti della luce, del fuoco, con la liturgia della Parola, quella battesimale, ma anche nell’esteriorità con decorazioni e luminarie lungo il tragitto percorso dalla Croce fino alla piazza centrale, dove è stata accolta dal tambureggiare di una famiglia di profughi e da tanti fedeli accorsi anche da paesi vicini. Tra il verde della piazza illuminata, davanti a soggetti religiosi figurati in grandi tabelloni, don Giuliano e preparati collaboratori, hanno fatto rivivere il sacro evento suscitando emozioni con la crescita della fede e dell’impegno nella formazione di una vera comunità. Una serata cristiana che ha fatto rivivere la mia prima Pasqua, quella del dopo guerra con la ripresa delle celebrazioni serali vietate dal conflitto mondiale. Alla ripresa, dopo tante distruzioni e tante parole ambigue predicate nelle piazze, il parroco don Antonio Magosso invitò per la Quaresima i padri Passionisti di San Zenone di Treviso, per far rivivere la fede dal pulpito con la loro parola di calore, di forza, di luce, e di pace nei momenti difficili di vita. Per molti anni nessuno ha dimenticato quella Pasqua e meno ancora la voce tonante di padre Rocco quando all’apparire sull’altare della Croce tra due ceri sostenuti da “fradei”, dal pulpito invitava i presenti a genuflettersi nel momento del grande sacrificio del Signore. “E sei stato tu peccatore con i tuoi peccati, perciò il pentimento e la richiesta di essere perdonato senza dimenticare che la vita è breve e la morte è certa; del morir l’ora è incerta!” Parole che pronunciate con forza in una chiesa scarsamente illuminata da puzzolenti e poche candele, incutevano paura, soprattutto a noi giovani, ma anche ai grandi dal momento che il ritorno nelle case era rapido, scandito dai calzari di legno su strade di ghiaia e prive ancora d’illuminazione. La sera successiva ecco la croce in processione per via Roma debolmente illuminata da torsoli di mais accesi e imbevuti di gasolio o nafta, con l’esposizione alle poche finestre delle migliori tovaglie o lenzuola da parte delle mamme. La recita della preghiera, a intervalli, lasciava il posto ai canti come il “Noi voglian Dio…” che ogni volta coprivano l’accompagnamento del neonato complesso bandistico, e così fino alla benedizione in chiesa che congedava tutti rinvigoriti nella fede, in attesa del grande giorno. Un evento che è stato ricordato alzando una croce di legno nero, e posizionandola all’incrocio tra via Marconi e via Roma, davanti alla quale gli uomini erano soliti salutare scoprendo il capo, e le donne con il segno della croce. La santa Croce rimase in quel luogo per una decina di anni, poi per esigenze logistiche, venne trasferita ai piedi dell’argine del Fiume nella stessa posizione odierna. Ma non più l’originale di legno consumata dal tempo: dapprima fu sostituita con quella situata sul tetto della chiesa (tolta per lavori in corso), e successivamente da una nuova di metallo appositamente costruita dagli operai della locale fornace Reato, e benedetta nell’anno giubilare dal parroco don Adriano Frigato. Sono trascorsi settant’anni, e la santa Croce continua a sollecitare i passanti a sostare con una preghiera, in omaggio alla solida e semplice fede vissuta e tramandata da tanti nonni e genitori, ma anche per ricordare che la Resurrezione per ogni cristiano è quotidiana pratica dell’amore verso tutti.