Testimonianza di Sofia, operatrice della Cooperativa Porto Alegre, dal centro di accoglienza di San Martino di Venezze.
I centri di accoglienza non ispirano solidarietà nella maggior parte delle persone. Quando una nuova struttura viene aperta, la norma è che si costruiscano barricate, si lancino petizioni e a gran voce si levino proteste e polemiche. In tutti i modi si cerca di impedirne l’apertura, come se la sola presenza di un centro assicuri problemi futuri e il criticarlo serva a risolvere quelli presenti. Ovviamente pochissimi ci mettono piede, in un centro di accoglienza, per conoscere effettivamente chi ci vive, e le comunità locali si limitano ad osservare attentamente dall’esterno, all’era per denunciare ogni sgarro e far pesare ogni errore. Quando si parla di migrazioni, ci sono troppi sguardi esterni e pochi interni.
Al centro di accoglienza di San Martino di Venezze stiamo scoprendo che un’alternativa è possibile. E’ un centro molto giovane, che ha aperto solamente a marzo, e che ospita famiglie e giovani mamme. Siamo ancora in pochi (cinque adulti, due bambini e tre operatori), le stanze sono ancora un pò vuote, con arredamento spartano, le piante sono ancora giovani. Tutto è ancora in costruzione e anche le relazioni con la comunità stanno a poco a poco acquistando corpo e sostanza. A differenza di altri centri, abbiamo la fortuna di collaborare con un’amministrazione attenta e disponibile e una comunità presente: nei mesi c’è chi ha donato divani e piante di lattuga e i pali dell’orto e vestiti e giochi per i bambini.
Venerdì la nostra vicina di casa ci ha invitato a pranzo.
Ci siamo fatte belle noi e i bambini, il più piccolo ha due settimane e per lui si trattava del primo evento sociale.
Abbiamo preparato e decorato una torta con panna, fragole e more, quest’ ultimo un frutto nuovo per le nostre ospiti che non l’avevano mai assaggiato. A mezzogiorno, riparando bambini e torte con gli ombrelli dal sole cocente, abbiamo attraversato tutti insieme il vialetto verso casa della nostra vicinia, che ci ha accolto con la sua bella famiglia e una lunga tavola apparecchiata.
E’ sta una bella giornata, abbiamo chiacchierato e riso e mangiato ottimamente. E vi potreste chiedere: perché scrivere di una cosa così? Cos’è un pranzo rispetto al dono del denaro, di strutture, abiti, mobilio e, in generale, “cose utili”? Invitare qualcuno a pranzo nell’intimità della propria casa è una azione di socialità quotidiana, normale e autentica. Apriamo le nostre porte di casa ad amici, parenti, persone che stimiamo per continuare o approfondire la nostra relazione. L’ospite che invitiamo a condividere il nostro cibo e a sedere alla nostra tavola, è un nostro pari, una parte della nostra cerchia di relazioni.
Nell’epoca dei muri e dell’intolleranza, la nostra vicina ci ha dato una semplice ma grande lezione di accoglienza, nel significato pieno di questo termine. Abbiamo madrelingue diverse, età diverse, esperienze, mondi e storie di vita inimmaginabili per entrambe le parti, ma possiamo veramente abbattere i muri, anche a colpi di forchetta.
fonte: Caritas